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Giordano Turrini, una storia da non dimenticare

© CONI Point Bologna

a cura di CONI Point Bologna

La memoria è ancora lucidissima, nonostante si parli di successi e vittorie accadute anche 60 anni fa. La casa di Giordano Turrini, nell’immediata periferia di Bologna, è un museo dei suoi infiniti racconti che hanno caratterizzato il ciclismo degli anni sessanta e settanta. Una quantità incredibile di gare, sia su pista che su strada. Una vera enciclopedia storica, che ha corso con i ciclisti più importanti e li ha sfidati, potendo raccontare vicende e aneddoti che si starebbero ad ascoltare per ore. Qui siamo andati a trovarlo, insieme a Stefano Galetti, delegato del CONI Point di Bologna.

© CONI Point Bologna

Giordano è un classe 1942 e per condensare in poche righe il suo curriculum si può dire che ha partecipato a 20 campionati del mondo iniziando le sue vittorie con l’argento mondiale del 1965, passando all’oro del ‘68 in tandem con Walter Gorini, quindi all’argento olimpico, nello stesso anno, a Città del Messico. Passato al professionismo è arrivato terzo ai mondiali di velocità su pista nel 1971 a Varese, a quelli del 1972 a Marsiglia e l’argento a San Sebastian nel 1973 e a Montironi nel 1976. Nel
suo palmares anche otto titoli di campione d’Italia e sei di campione d’Europa. Chiude la carriera nel 1981 per poi lavorare fino al 2000 all’ufficio sport del Comune di Bologna.

Ma riavvolgiamo il nastro ed ascoltiamo direttamente dalle sue parole come nasce un campione che è stato troppo presto dimenticato dalla sua città, Bologna. Solo lo scorso anno la Federciclismo gli ha riconosciuto una targa a 50 anni dall’oro mondiale, mentre il CONI Point di Bologna lo ha premiato alla carriera durante la serata dei premi agli sportivi delle DueTorri. “Abitavo da ragazzino a Ponte Samoggia – racconta – e andavo a scuola ad Anzola dove giocavo a calcio e contemporaneamente andavo in bicicletta con gli amici. Ma ho sempre preferito lo sport individuale a quello di squadra, visto che in questo tutto dipende da te, le vittorie come le sconfitte. In bici ho cominciato fin dai cinque, sei anni. Poi a 15 anni cominciai ad uscire con i ragazzi più grandi della Ravonese. L’anno successivo il presidente mi diede la maglia della società e per me fu un evento. La domenica facevamo le gare sui 30 chilometri e ogni tanto, invece di gareggiare, ci divertivamo con uscite anche di 150 chilometri con sprint ad ogni paesello, dalle quali arrivavo a casa senza più forze. Prima dei 16 anni non era possibile allenarsi al Velodromo di Bologna e così per una stagione entrai con il tesserino di un compagno, Lenzi, e negli anni successivi mi chiamavano così per abitudine. Però lì cominciai a portare a casa qualche soldino visto che si facevano sprint per allenamento dove c’erano in palio ben 500 lire. A 18 anni il tecnico regionale Loatti mi disse che mi vedeva bene in pista per le “Sei giorni”, ma che avrei dovuto fare almeno un anno a Milano o a Padova per prepararmi al meglio.

© CONI Point Bologna

Non volevo lasciare Bologna, ma quando mi arrivò la lettera come papabile olimpico non volevo crederci. Fu la mia fidanzata, attuale moglie, a spingermi a fare questo passo. Quando ho lasciato la casa a vent’anni mia madre mi disse “mi raccomando se hai bisogno di soldi siamo qui”. Ma ho sempre creduto che fosse giusto essere indipendente e così quando fui davanti alla scelta tra una società che mi offriva vitto e alloggio a una che mi offriva alloggio e un lavoro non ci pensai due volte a favore di quest’ultima. A Padova mi aspettava il tecnico della nazionale al quale dissi che avevo voglia di smettere perchè quell’anno avevo corso con la squadra Zabov Moccia di Ferrara, facendo talmente tanta salita che non ne potevo più. Così mi mandarono al club Genova di Milano dove mi sarei potuto esprimere al meglio.

Per due anni ho dormito in una stanza che dava su un cinema e quindi appena veniva acceso il proiettore sentivo l’audio del film senza vederlo. Un rumore al quale mi abituai presto. Lavoravo anche dieci ore al giorno alla ditta Marina di accessori per auto di proprietà di Franco Pellegatta, che era un dirigente della società. Un giorno mi disse: “Sei venuto a Milano per lavorare o per correre?”. Per correre – gli risposi – ma più lavoro più guadagno. Da quel giorno mi fece mangiare sempre con lui e andai a dormire a casa sua dove mi tenne per i successivi nove anni, fino al 1975”. Per Turrini questi furono gli anni delle prime grandi vittorie: “nel preolimpico del ‘65 a Città del Messino – racconta – arrivai che non andavo molto forte, ma l’altura mi fece volare. Dopo le Olimpiadi del ‘68 il commissario tecnico mi chiese se volevo tornare sul tandem e quale compagno avessi voluto. Scelsi Gorini e a Montevideo vincemmo il Mondiale battendo i belgi”.

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Nel 1965 comincia anche la sua vita coniugale. “In quell’anno mi sono sposato, ma sono stato via da casa fino al 1973 quando vinsi l’ultima medaglia d’argento al Mondiale di San Sebastian. Anche se poi ho continuato a correre fino al 1982. Abbiamo avuto anche due ragazzi, anche se purtroppo mia figlia ora non c’è più”. “Non volevo diventare professionista -continua ma fui praticamente costretto ed entrai nella Dreher grazie all’interesse di Fiorenzo Magni e come vice-presidente avevo un certo Mike Bongiorno. Quindi gareggiai con la Brooklyn dove il medico Sergio Bacci mi propose di guardare al futuro iscrivendomi al primo bando pubblico del Comune di Bologna. Feci il corso per affissore e su 150 partecipanti entrai tra i 14 che furono scelti. Al colloquio mi emozionai più che alle Olimpiadi. Cominciò da lì la mia vita in Comune, all’ufficio sport, dove sono rimasto fino al 2000, quando ho ottenuto la pensione”.

A pochi giorni dalla partenza del Giro d’Italia da Bologna, quella di Turrini è una storia di altri tempi, dove la passione e la voglia di arrivare sono sempre state più importanti di fama, soldi e pubblicità. Ma soprattutto una vita vissuta con valori saldi, dai quali Turrini non si è mai discostato. Un grande atleta che ha dato lustro a Bologna e all’Italia… che deve essere ricordato come sportivo, ma anche come bellissima persona, testimone di come i valori sportivi possono coniugarsi ed essere esempio per tutti.


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