Storie e Interviste

Basket City sul cemento

La storia e il fascino del Torneo Giardini Margherita, a tutto campo. La tempesta del Not in My House che ha divisoBologna in conference, a metà campo. Due tornei che tutta Italia ci invidia.

Torneo Giardini Margherita

Basket-city vive la pallacanestro in maniera viscerale, ed esprime la propria passione non solo attraverso la storia delle due principali squadre della città, ma anche, e soprattutto, attraverso l’abnorme numero di praticanti e di squadre che partecipano a campionati e tornei. Attraverso il numero, superiore alla media, di campetti all’aperto in cui tutti possono giocare.

Il campetto è il luogo più democratico per antonomasia. Chiunque può giocarci. Non c’è la selezione all’ingresso. Alto, basso, magro, grasso, giovane, vecchio, bambino, bravo, scarsissimo. Chiunque, in qualsiasi momento, può prendere una palla e giocare a basket. A Bologna c’è un campetto che ha fatto, e continua a fare, storia. Si chiama come il parco in cui si trova, “Giardini Margherita”, ed il torneo che prende il suo nome, esiste da 37 anni.

Foto Credits @Fabio Pozzati

Qualche numero: quasi 1.000 partite giocate, 2.100 giocatori di cui 60 di Serie A e 250 di A2, 20 atleti con almeno 1 presenza in Nazionale, 3 giocatori NBA, 3 giocatrici di Serie A, 1 partita sospesa per intemperanze del pubblico, più di 1.000 spettatori di media a partita, circa 2.500 spettatori di media nelle finali. Numeri che reggono il confronto di società professionistiche di Serie A, registrati da un torneo all’aperto giocato sul cemento, con gli spettatori (più fortunati) seduti sui gradoni, sul prato ed anche sulle tribune, organizzato solamente da due persone coi capelli bianchi (quando presenti) che rispondono al nome di Simone Motola e Walter Bussolari.
Il campo, gli alberi attorno, gli improperi per cercare parcheggio dentro ai Giardini, e le due facciotte di Simone e Walter, rappresentano i dettagli che ti fanno sentire a casa ogni volta che entri lì dentro.

La mia prima volta al torneo fu ad inizio anni ‘90, forse avevo 9 anni, l’età dell’innocenza e del portafoglio vuoto. Io e mio padre eravamo seduti sul prato, stretti come sardine, nell’aria si respirava un mix di profumo d’erba (anche del prato) e luppolo delle Moretti, in campo c’era parecchia tensione e volavano parole grosse che con mio padre fingevo di non aver mai sentito. Le cose che mi rimasero impresse furono tre: la quantità di gente manco giocassero Virtus o Fortitudo, le facce di Motola e Bussolari identiche ad oggi, le hostess della squadra Jeans Hatù che lanciavano manciate di preservativi al pubblico durante i time out. Preservativi che, ancora una volta, fingevo di non aver mai sentito nominare. Mio padre, però, se li infilava in tasca.

La gente. La gente è in assoluto la cosa che rimane più impressa a chi vede per la prima volta una partita ai Giardini Margherita. Ai tornei estivi, di norma, tolte le fidanzate, gli amici, i cugini, i partecipanti e gli organizzatori, restano solo le zanzare. Qui parliamo di 2.000 persone che vanno a vedere 10 scalmanati che giocano a basket sul cemento. È un concetto quasi utopistico. Un miracolo che si ripete da 37 anni, ma a differenza di quello di San Gennaro, quando appare il sangue non ci sono applausi ma solo le grida di chi si è fatto male.

Foto Credits @Fabio Pozzati

Il Torneo Giardini Margherita (spesso americanizzato in “Gardens”) è il torneo estivo più importante d’Italia. Si gioca 5 contro 5, la linea dei tre punti è a 7,25 metri come in NBA, e le squadre partecipanti sono 16. Quest’ultime hanno le loro maglie da gioco personalizzate con tanto di sponsor, tuta, ogni tanto anche merchandising, claque al seguito, fotografi, e passano i restanti undici mesi a fare mercato per accaparrarsi i migliori giocatori, e allenatori, tra la Serie A e il CSI.

Il torneo rappresenta un evento che travalica i confini del basket. Ne parlano i quotidiani, ne parlano i tg locali, ne parlano i siti internet. Il basket, sport popolare, diventa ancor più popolare ai Giardini Margherita. Papà, figli, nonni, mamme, ragazzi di tutte le età, adulti che prima erano giovani, ragazzi che giocano a basket, ragazzi che giocano a calcio o a pallavolo, “andare ai Giardini” fa ormai parte del lessico locale. “Oh regaz, stasera che si fa? Andiamo ai Giardini?” è una frase che da metà giugno a metà luglio scorre sotto i portici della città.

Ai Giardini vincere non è un’ossessione e nemmeno l’unica cosa che conta. Provare a vincere è un piccolo dovere morale che qualsiasi giocatore sente per rispetto nei confronti del luogo in cui sta giocando. Ai Giardini non esistono star. Sono passati giocatori che la NBA l’hanno giocata, come Michael “Sugar” Ray Richardson, ed è vero che il giocatore professionista di Serie A suscita più interesse del ragazzino che si sta facendo le ossa in D, ma ai Giardini l’unica vera star è il torneo. Ed anche i giocatori di livello più alto lo sanno e lo riconoscono. Il pubblico applaude una bella giocata indipendentemente dalla categoria del giocatore.

I Giardini Margherita sono un sogno, l’idea di un torneo che sa rinnovarsi senza mai perdere contatto con la propria storia. Sono la testimonianza della straordinarietà dello sport. Perché, in fin dei conti, stiamo solo parlando di due canestri e di un rettangolo di cemento che da 37 anni sono un modello sportivo, sociale e culturale che ha impreziosito il tempo di almeno due generazioni di persone.
Scusate se è poco.

Un giorno, un mio amico di Roma, mi chiese: “Aò, ma che è sto Giardini Margherita?”. Penso sia una di quelle domande alle quali non sei mai pronto a rispondere. Un po’ come quando ti chiedono “cos’è l’amore?” oppure “perché esiste il possesso alternato nel basket?”. Ricordo di aver preso tempo, non volevo sprecare la risposta. Ho riflettuto un attimo, ho spremuto le meningi come due arance di Sicilia, e alla fine gli ho risposto così: “È qualcosa di talmente bello che devi vederlo coi tuoi occhi per crederci”. Qualche mese dopo salì a Bologna per vedere la finale del torneo. L’anno dopo, la mattina della finale, mi mandò un sms: “Andiamo ai Giardini?

Not in My House

Not in My House, il torneo di streetbasket 4vs4 dei playground bolognesi, è nato nell’estate del 2017 parallelamente all’ascesa delle due squadre storiche della città, Fortitudo e Virtus. Il posto perfetto nel momento perfetto. Due anni dopo, la storia è scritta: Basket City è ufficialmente tornata.

Foto Credits @Fabio Pozzati

Quando siamo partiti sapevamo che Basket City aveva bisogno di una spinta. Oggi le due squadre principali sono tornate in Serie A, nel frattempo noi ci eravamo organizzati cercando di riempire tutti i playground della città metropolitana. Devo fare i complimenti a Not in My House perché il progetto è cresciuto”, queste le parole di Matteo Lepore durante la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2019 del torneo.

Ciò che contraddistingue Not in My House dagli altri tornei è la particolarità di poter partecipare in base alla propria residenza. Abbiamo diviso Bologna, creato 5 zone (chiamate Conference) rappresentate da 5 comuni: Anzola dell’Emilia, Casalecchio di Reno, Castel Maggiore, San Lazzaro di Savena e Bologna Centro sono i campi designati. Ognuno di questi ospita un torneo composto da 16 squadre che si sfideranno per vincere l’accesso alle finals in piazza VIII Agosto. Oltre 96 squadre, più di 600 atleti, una sola finale, un unico vincitore. Le due squadre che si classificano ai primi due posti di ciascun comune, conquisteranno una delle piazze storiche della città portando in piazza i colori della propria Conference.

Foto Credits @Fabio Pozzati

La terza edizione prevede tantissime novità. Il Not in my House quest’anno aprirà le porte anche ai residenti di Modena e non solo: ci sarà l’Outside Conference, il primo passo fuori dalle mura. La tappa modenese sarà rappresentata dal Comune di Castelfranco Emilia ed è nata con lo scopo di ospitare tutti gli atleti provenienti da Modena e dintorni, ma anche coloro che desiderano partecipare e che sono residenti in altri comuni d’Italia.

La seconda grande novità di quest’anno è il torneo delle ragazze che rappresenta la parte femminile di BasketCity. Le ragazze si sfideranno sui campetti della South Conference, al Parco Rodari, e su quello del Meloncello, Center Conference, anche loro saranno protagoniste delle finals in Piazza VIII Agosto.
Per quanto riguarda le finali vere e proprie, quest’anno non saranno più 2, ma 3, le giornate in cui le 12 squadre del torneo maschile e le due finaliste del torneo femminile si contenderanno il titolo di King e Queen di Basketcity. Infine, siamo lieti di annunciare che neanche la pioggia potrà fermarci perché in caso di mal tempo le finali si disputeranno al… Paladozza!

Dopo il successo delle prime due edizioni, l’area metropolitana di Basketcity torna ad ospitare la competizione itinerante rivolta a tutti gli appassionati, over 16, di pallacanestro. Dal 10 giugno al 17 luglio, più di 600 atleti si sfideranno per conquistare il trono, inizialmente della propria conference, e successivamente quello di Bologna.

Not in my house non è solo un torneo di Basket ma è molto di più: aggregazione, solidarietà, partecipazione ma soprattutto DIVERTIMENTO! Aperto a tutti, l’unico requisito? Tanta voglia di Pallacanestro!

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